Enrico Berlinguer nasce il 25 maggio 1922 a Sassari da Mario e da Maria Loriga.
Nel luglio 1924 nasce suo fratello Giovanni. Nel 1936, all’età di 14 anni, resta orfano della madre. Sarà seguito, oltre che dal padre, dalla zia Lidia Berlinguer Pintus. Alla fine del 1940, terminato il liceo, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza. Appassionato di filosofia e di storia, inizia a interessarsi di politica, diventando comunista attraverso l’antifascismo. Nel 1943 aderisce alla sezione giovanile del Pci di Sassari, diventandone presto segretario, e nel 1944 viene arrestato per aver partecipato ai "moti del pane", organizzati dalla sezione comunista. A giugno raggiunge a Salerno suo padre, che lo presenta a Togliatti. Condivide la proposta del partito nuovo, l’idea di una via nazionale al socialismo, basata su democrazia progressiva e riforme di struttura e ne è interprete nelle organizzazioni giovanili del Pci.
Nel 1949 è eletto segretario della Federazione giovanile comunista italiana, nel 1950 presidente della Federazione mondiale della gioventù democratica. Dopo l’VIII congresso del Pci (dicembre 1956) è nominato direttore dell'Istituto di studi comunisti di Frattocchie. Nel 1957 è eletto vicesegretario regionale del Pci in Sardegna. Nello stesso anno sposa Letizia Laurenti. Nel 1959 nasce la sua prima figlia, Biancamaria, alla quale seguiranno Maria Stella (1961), Marco (1963) e Laura (1970).
Intanto Berlinguer giunge ai vertici del partito: nel 1958 è nella segreteria nazionale, dopo il IX Congresso entra in Direzione. Nel 1968 è eletto deputato nella circoscrizione di Roma con oltre 150.000 preferenze. Nel 1966, all’indomani dell’XI Congresso, è eletto segretario regionale nel Lazio; a dicembre è ad Hanoi per incontrare Ho Chi Minh, nell’ottobre 1968 guida la delegazione che discute con i dirigenti del Pcus dopo che il Pci ha condannato l’intervento militare del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia.
Nel febbraio 1969 è eletto vicesegretario al fianco di Luigi Longo. Nel 1972, col XIII Congresso del Pci, diviene segretario generale del partito. È ora alla guida di una forza nazionale che vuole interpretare le istanze di cambiamento emerse negli anni Sessanta, attuando il progetto costituzionale e difendendo la Repubblica dalla strategia della tensione. Al tempo stesso, Berlinguer accentua l’autonomia del Pci dal blocco sovietico, sollecitandone una riforma in senso democratico.
Queste istanze confluiscono nel compromesso storico, la strategia che lancia nel 1973, all’indomani del golpe di Pinochet in Cile. L’obiettivo è realizzare un’intesa tra le grandi correnti popolari italiane: cattolici, comunisti e socialisti. Su questa linea, che incontra l’attenzione del leader democristiano Aldo Moro, il Pci si rafforza: nel 1974 è decisivo nella sconfitta del tentativo di abrogare con un referendum la legge sul divorzio; nel 1975, alle elezioni amministrative, supera il 33,4% e diventa forza di governo in sette regioni e in moltissimi comuni e province; nel 1976, alle elezioni politiche, raggiunge il 34,37% dei voti alla Camera. Con l’astensione anche del Gruppo comunista nasce il governo Andreotti della “non sfiducia”. Inizia la stagione della solidarietà democratica che si sviluppa dal 1976 al 1979, nel quadro di una profonda crisi economica, di una violenza politica diffusa e dell’offensiva terroristica. Nel 1978, alla vigilia della formazione del governo con i comunisti nella maggioranza, tuttavia, Moro viene rapito. Il sostegno del Pci al governo dura pochi mesi, travagliati dalla tragedia di Moro, ma in cui si varano importanti riforme, dalla legalizzazione dell’aborto alla istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, dall’abolizione dei manicomi all’equo canone.
Intanto Berlinguer accentua la sua distanza dalla leadership sovietica, ribadendo l’inscindibilità di democrazia e socialismo, e si muove in uno spettro globale di relazioni internazionali: cerca di costruire un fronte comune coi Pc francese e spagnolo, sostiene i movimenti di liberazione nazionale e le istanze del Sud del mondo, dialoga con le sinistre europee, riavvia le relazioni col Partito comunista cinese.
Alla fine degli anni Settanta, il Pci torna all’opposizione, in un contesto internazionale segnato dalla fine della distensione e dalla recrudescenza della guerra fredda. Nell’ultima stagione della sua biografia, Berlinguer rinsalda il rapporto con le classi popolari, indebolito dallo scambio tra sacrifici e riforme attuato durante la solidarietà nazionale, e si sintonizza sulle istanze dei nuovi movimenti di massa: nel 1980 sostiene la lotta degli operai di Mirafiori; dopo il terremoto in Irpinia solleva la “questione morale” e invoca una riforma della politica; si schiera contro gli euromissili; dialoga col femminismo; conduce l’ultima battaglia per difendere l’indicizzazione dei salari al costo della vita.
Muore l’11 giugno del 1984 per i postumi di un ictus che lo colpisce mentre sta tenendo un comizio per le elezioni europee. Il 13 giugno una folla immensa lo saluta a Roma con un’immensa manifestazione di cordoglio popolare. Il 17 il Pci, per la prima volta nella sua storia, sorpassa la Dc ottenendo il 33,3% dei voti.